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Team ricercatori italiani ha individuato mix molecole naturali

Nel tentativo di comprendere in che modo i “geni della longevità”, appartenenti alla ormai nota famiglia dei geni SIRT, possono allungare la durata della vita in buona salute, un gruppo di ricercatori italiani ha individuato un composto in grado di favorire la perdita di peso e di prevenire l’accumulo di grasso “cattivo”. Si tratta di un mix di molecole naturali, che includono, tra le altre, pterostilbene, polidatina, onochiolo, gymnema sylvestre, sinefrina, forskolina, tè verde, neopuntia, capace di trasformare il grasso bianco, quello “cattivo” che si accumula e porta in su la lancetta della bilancia, in grasso bruno, cioè in quello “buono” che il nostro organismo brucia per produrre energia. L’efficacia del composto, prodotto da un’azienda americana che si occupa di creare integratori che stimolano la produzione naturale di sirtuine, è stata dimostrata in uno studio dell’Università Tor Vergata di Roma, dell’IRCCS San Raffaele di Roma e dell’Università di Napoli Federico II, recentemente pubblicato sulla rivista Cell e da poco disponibile in commercio. “Il composto è in grado di inibire la proliferazione degli adipociti e il rilascio di molecole pro-infiammatorie, come l’interleuchina-6 e la leptina, l’ormone responsabile della sensazione della fame”, spiega David Della Morte Canosci, autore dello studio e professore di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università di Roma Tor Vergata. “Ma cosa ancora più straordinaria, il composto ha promosso la ‘trasformazione’ del grasso ‘bianco’ in ‘bruno’ attraverso l’aumento dei livelli di espressione di alcuni geni legati al grasso ‘buono’, come ad esempio UCP1”, aggiunge.

A differenza dei farmaci anti-obesità nuovi che stanno riscuotendo un grande successo e per i quali sono state riscontrate resistenze (in alcuni pazienti obesi non funzionano) e l’insorgenza di eventi avversi, il nuovo composto rappresenta un’alternativa naturale e priva di rischi per la perdita di peso. “L’unico effetto collaterale documentato è l’aumento della longevità, oltre che una maggiore protezione contro il diabete, le malattie cardiache e neurodegenerative”, sottolinea Della Morte. Il grasso bianco funziona come una sorta di magazzino per le calorie in eccesso che ricaviamo dalla digestione del cibo. Il grasso bruno, invece, brucia le calorie per consentire al corpo di svolgere tutta una serie di funzioni vitali, come ad esempio la termoregolazione, ed evita in questo modo l’accumulo pericoloso di grassi. Il composto testato dai ricercatori italiani è dunque un valido strumento attraverso il quale si può trasformare il grasso bianco in bruno.

Fonte: askanews.it

Ma attenzione alla percezione di difetti inesistenti o lievi

Dalle onde d’urto combinate con la dieta, per ridurre le adiposità addominali, in particolare localizzate in zona pubica, per eliminare l’effetto ottico di falsa brevità peniena, fino alle iniezioni di acido ialuronico o PRP per aumentare il volume del pene o correggere la curvatura. Sono sempre più numerose le tecniche per migliorare l’aspetto esteriore dell’intimità maschile che, anche se perfetta dal punto di vista anatomico, può subire un deficit funzionale da inestetismi. Un trend in crescita con oltre 10mila richieste l’anno di ritocchi ma accompagnato da un monito degli esperti. Procedure efficaci e sicure possono correggere difetti estetici più o meno gravi, che hanno un impatto sulla salute sessuale maschile, ma attenzione alla percezione di difetti inesistenti o lievi. In questi casi l’andrologo non deve assecondare il paziente ma indirizzarlo verso la scelta più giusta. Indispensabile rivolgersi a uno specialista competente.

Salute e bellezza sono un diritto anche per gli uomini: per migliorare il benessere maschile, che si riflette anche sul benessere della coppia occorre piacersi e non è solo una questione di vanità, perché gli inestetismi dell’intimità maschile, più o meno gravi, possono compromettere la salute sessuale, anche quando non sono legati a patologie deformative come ad esempio la malattia di Peyronie.”Si stima che circa il 45% degli uomini italiani sia in sovrappeso e che l’eccesso ponderale comporti un rischio fino al 70% di sviluppare disfunzione erettile, che è ancora maggiore al di sopra dei 60 anni. Anche cedimento dei tessuti, piccole dimensioni e curvature del pene acquisite o congenite, lesioni dermatologiche o cicatrici chirurgiche, possono avere un impatto negativo sulla salute sessuale maschile – afferma Alessandro Palmieri, presidente SIA e Docente di Urologia all’Università Federico II di Napoli – . Nel concetto olistico dell’andrologia, che prevede un approccio globale al paziente, non si può prescindere dalla valutazione delle condizioni estetiche, non solo perché spesso legate a condizioni patologiche ma anche perché una migliore percezione di sè ha ripercussioni funzionali sulla vita sessuale”. “Una nuova branca della medicina in continua evoluzione che si occupa di migliorare l’estetica e la funzionalità degli organi genitali maschili per consentire a chi soffre di inestetismi delle parti intime di vivere pienamente la propria sessualità, grazie a procedure correttive, sicure, efficaci e mini-invasive” sottolinea Palmieri.

Ogni anno si rivolgono all’andrologo circa 7-10mila uomini che chiedono interventi per migliorare l’aspetto esteriore dei propri genitali. Non sempre però la percezione che un uomo ha della sua intimità corrisponde poi alla realtà. “Capita di frequente che i pazienti chiedano di accedere a procedure di cui non hanno davvero bisogno – spiega Stefano Lauretti, co-presidente del congresso, Servizio di Urologia, Andrologia e Riabilitazione uro-sessuale, Casa della Salute Santa Caterina, Asl Roma 2 – perché percepiscono difetti inesistenti o lievi. E’ quello che definiamo dal punto di vista scientifico dismorfofobia peniena. In questo caso il paziente non va assecondato ma va aiutato a comprendere l’errata percezione”. Per gli specialisti della SIA bisogna diffidare da informazioni, consigli e soluzioni facili che spesso si trovano sul web. “E’ indispensabile che i pazienti vengano seguiti da uno specialista che sappia indirizzarli verso le giuste scelte al fine di risolvere in maniera personalizzata la loro problematica estetica”, osserva Lauretti.

L’aumento delle richieste per accedere a trattamenti estetici non chirurgici in ambito andrologico è cresciuto in pochissimo tempo. “Si è passati da zero a un più 7-10 per cento negli ultimi 10 anni – specifica Claudio Marino, andrologo della SIA ed esperto in trattamenti estetici -. I motivi principali derivano da una sorta di imbarazzo nelle situazioni intime dovuti sia a difetti legati a vere e proprie patologie del pene, che all’avanzare dell’età. Può succedere infatti che, che a causa del trascorrere del tempo, l’aspetto dei genitali non corrisponde più ai desideri dell’uomo e possono emergere frustrazione e sfiducia, che incidono in modo negativo sulla sfera sessuale”.

Fonte: askanews.it

Lo studio sul New England Journal of Medicine

I dati evidenziano che la nuova insulina basale ‘a lento rilascio’, che può essere somministrata sottocute solo una volta a settimana anziché una volta al giorno, non comporta un aumentato rischio di ipoglicemia, ma anzi migliora il controllo glicemico rispetto alla insulina giornaliera. I risultati dello studio multicentrico di fase III a doppio cieco, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. È attesa ora l’approvazione della nuova molecola da parte degli Enti regolatori del farmaco per renderla disponibile per la commercializzazione per i pazienti con diabete in tutto il mondo che si stimano oltre 500 milioni. Il solo ricercatore italiano che ha partecipato alla stesura finale dello studio è Roberto Trevisan, professore di Endocrinologia all’Università di Milano-Bicocca e direttore della Diabetologia dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che spiega: “Questo studio – spiega – apre la strada alla commercializzazione della nuova molecola. Per i pazienti diabetici si passerà presto da 365 a sole 52 iniezioni in un anno. È una vera e propria rivoluzione positiva della terapia insulinica. Questa nuova molecola ha il potenziale di semplificare la terapia del diabete che richiede terapia insulinica, eliminando per i pazienti il disagio della iniezione giornaliera ed aumentando così la aderenza alla terapia insulinica. Un vero cambio epocale e un deciso miglioramento della qualità di vita dei pazienti diabetici”. La notizia era attesa da tempo nel mondo scientifico della Diabetologia. Si annuncia una svolta epocale nella modalità di somministrazione terapeutica, con un impatto importante sulla qualità della vita dei pazienti con diabete. Il passaggio dall’assunzione giornaliera a quella settimanale rappresenta un enorme vantaggio per i diabetici di tipo 2, che sono spesso soggetti anziani, con più patologie, e che devono assumere diverse terapie con frequenza quotidiana. Un altro vantaggio della formulazione della terapia su base settimanale è la possibilità di ridurre l’impegno richiesto agli operatori sanitari che si occupano di diabetici che richiedono insulina, specie per quelli ricoverati nelle strutture sanitarie residenziali a lungo termine.

Fonte: askanews.it

Studio: dopo il covid dimezzata percezione gravità patologie cuore

Nonostante le malattie cardiovascolari rappresentino ancora oggi la prima causa di mortalità nel nostro Paese, responsabili del 44% di tutti i decessi, con una prevalenza più elevata della media europea (7.499 casi ogni 100mila abitanti), quasi la maggior parte dei giovani è convinta che la prevenzione sia inutile e che i loro comportamenti non influenzino la salute cardiovascolare. Lo dimostrano i dati di un un’indagine su 10mila studenti di età compresa tra i 12 e 19 anni, condotta dall’Associazione Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD, in collaborazione con la Fondazione A. De Gasperis di Milano. Ai partecipanti è stato chiesto quale fosse secondo loro la malattia più diffusa e quale la più grave tra quelle che causano maggiore mortalità tra tumore, malattie cardiovascolari, diabete e Covid-19. I risultati dell’indagine rilanciati e accolti con preoccupazione dagli esperti della Fondazione “Il Cuore Siamo Noi”, in occasione della giornata dedicata alla lotta ai fattori di rischio prevenibili, mostrano che i i giovani dopo la pandemia sono diventati più scettici riguardo alla prevenzione cardiovascolare e meno preoccupati della gravità e della diffusione delle malattie cardiache. Stando ai risultati dell’indagine dal 2019 a oggi la percentuale dei ragazzi che non credono esistano comportamenti idonei a prevenire le malattie cardiovascolari è aumentata dal 30% a oltre il 45%. Dimezzata invece la percezione della gravità delle patologie cardiache: in calo dal 30 al 16% tra quelle che causano maggior mortalità, tanto che i giovani ritengono il cancro ben 4 volte più mortale. “Il Covid e la complessa situazione in cui i giovani si sono ritrovati a vivere in questi anni, hanno ridotto la fiducia dei ragazzi verso la prevenzione cardiovascolare e anche la percezione della diffusione e della gravità delle malattie cardiache, spingendoli ad abbassare la guardia, anche perché l’emergenza sanitaria ha determinato la sospensione delle campagne di prevenzione cardiovascolare – commenta Francesco Barillà, Presidente della Fondazione “Il Cuore Siamo Noi”, professore Associato di Cardiologia e Direttore Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università Tor Vergata di Roma -. Tutto ciò ha comportato un eccesso di cibo compensativo, maggiore sedentarietà, aumento del consumo di alcol e fumo, tutti elementi che mettono a rischio la salute del cuore, quando buona parte delle malattie cardiovascolari sono prevenibili seguendo corretti stili di vita che dovrebbero essere messi in pratica sin dall’adolescenza”. I dati più allarmanti sul peggioramento degli stili di vita, in particolare dei più giovani, riguardano in primis il fumo. Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) emerge che il 37,5% dei ragazzi di età compresa tra 14 e 17 anni, ha già avuto contatto con il tabacco. Ancora più preoccupanti le cattivi abitudini relative a dieta ed attività fisica. Uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità mostra che l’88% dei giovani italiani di età compresa tra gli 11 e i 17 anni non raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati e sono meno del 10% quelli che arrivano a un’ora al giorno. Sul fronte dell’alimentazione non va meglio: 3 su 10 non fanno la prima colazione con un eccessivo consumo di snack, bevande gassate e zuccherate, mentre solo una parte residuale consuma porzioni adeguate di frutta (17%) e di verdura (13%). “Tutti questi comportamenti non fanno che esporre i ragazzi a rischi cardiovascolari molto seri una volta diventati adulti – sottolinea Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC, professore Ordinario di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università di Napoli Federico II -. Ma è proprio partendo da corretti stili di vita, troppo spesso sottovalutati in particolare dai giovani, che si può invertire questo trend, visto che le malattie cardiovascolari restano la prima causa di morte e una delle prime cause di ospedalizzazione nel nostro Paese. Occorre pertanto sensibilizzare a corretti stili di vita a tutte l’età. Ed è proprio la promozione e la sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione delle malattie cardiache, come arma più efficace per combatterle, la mission che si propone di perseguire la nostra Fondazione a tutela della salute pubblica”.

Fonte: askanews.it

Tra i consigli, mai saltare gli spuntini

Che cosa stavi facendo? Dove eri arrivato? Stanchezza, distrazioni, pensieri possono assorbire l’attenzione di bambini e ragazzi, portandosi via tempo prezioso durante i pomeriggi di studio a casa. In questo contesto la merenda pomeridiana diventa un momento fondamentale per ricaricarsi, prendersi un momento di coccola per sé e affrontare il resto della giornata con maggiore energia. Lo ribadisce “A scuola di salute” (www.scuoladisalute.it) dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, punto di riferimento in Italia per l’educazione alimentare dei più giovani che, in collaborazione con Unione Italiana Food ha suggerito 10 merende per bambini e ragazzi in età pediatrica che aiutano a recuperare la concentrazione. Le proposte di merenda sono disponibili sul sito www.merendineitaliane.it insieme con una serie di consigli indirizzati ai più giovani per poter vivere al meglio la quotidianità soprattutto nei momenti in cui affiora la stanchezza mentale.

LE 10 MERENDE PER BAMBINI E RAGAZZI CHE FAVORISCONO LA CONCENTRAZIONE La prima regola è fare una merenda varia, adeguata ed energetica. Importante non saltarla mai ma allo stesso tempo non raddoppiarla. Tra i 10 suggerimenti di merende per ritrovare la concentrazione proposte da “A scuola di salute” dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù troviamo spuntini sia dolci che salati. Si va dalla “macedonia di frutta fresca e secca” al “pane tostato con ricotta e miele”, dallo “yogurt magro con frutta fresca, cioccolato fondente” a un “panetto di pasta sfoglia, mela, cannella e gherigli noci” fino a una “merendina pan di spagna al cioccolato”, solo per citarne alcune.
Anche le merendine, dunque, in virtù di una porzionatura stabilità di appena 35 grammi, possono rappresentare una valida alternativa a merenda per recuperare la concentrazione oltre a essere un prodotto buono, legato al comfort food con il quale ci possiamo regalare un momento di piacere.

“L’energia assunta a merenda migliora la capacità di concentrazione ed apprendimento, il tempo di reazione, l’umore, la memoria ed il controllo metabolico – afferma il Dott. Giuseppe Morino, Resp. UO Dietologia Clinica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. – Uno scarso apporto, invece, di carboidrati determina una diminuzione nelle prestazioni cognitive e l’arrivo alla cena con un notevole senso di fame. Occorre quindi dare vita a merende nutrizionalmente adeguate, in cui gli elementi fondamentali appaiono la densità dei nutrienti ed energetica che svolgono un ruolo importante nel mantenimento dell’equilibrio metabolico.”
GLI ESPEDIENTI PER RICARICARSI AL DI LÀ DELLA MERENDA Compiti per casa, sport, teatro, corsi di musica, senza contare le feste di compleanno, gli incontri con i compagni al parco. Portare avanti numerose attività richiede un’elevata dose di energia, impegno e attenzione per i ragazzi. Per questo motivo “A scuola di salute” dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù” oltre a consigliare una sana e adeguata merenda suggerisce delle sane abitudini a corredo, per affrontare tutte le attività pomeridiane con la giusta carica e garantire una buona dose di concentrazione.

Semplici ma efficaci consigli come: idratarsi, spegnere telefonini e tablet, bere una spremuta o un succo di frutta naturale prima dello sport, prendersi 5 minuti di svago ogni ora di studio e se si è stanchi perché no: concedersi una breve pausa per il sonno
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E PER GLI ADULTI? ECCO I CONSIGLI DELLA HEALTHY INFLUENCER PER RECUPERARE LA CONCENTRAZIONE Avere a cuore il proprio benessere significa mettere al centro il tempo che dedichiamo al recupero delle nostre energie. Cristiana Banchetti, healthy influencer, mette in evidenzia 10 consigli per gli adulti, scientificamente provati, per ritornare concentrati e produttivi in 15-20 minuti. Anche qui protagonista è la merenda, un momento di piacere capace di appagare corpo e spirito. Troviamo poi attività come praticare 10 minuti di yoga o leggere qualche pagina del proprio libro preferito.
Fondamentale l’idratazione: bere riduce la sensazione di fatica e stanchezza e migliora le capacità cognitive. Importante per recuperare le energie il cosiddetto “Power Nap”: il pisolino ristoratore è fondamentale e basteranno 10-20 minuti. Ma anche una piccola pausa beauty può aiutare a ricaricarsi. E poi ancora ascoltare la propria musica preferita: programma la tua canzone preferita, alza il volume e canta il consiglio della healthy influencer: aiuta la respirazione profonda e l’ossigenazione.

Aiuta molto anche camminare all’aria aperta – meglio se con il proprio amico a quattro zampe – e prendersi cura delle proprie piante: in una vita frenetica avere a cuore fiori ed erbe aiuterà a rallentare e a volersi bene. E infine quando ci si sente stanchi, stressati e sopraffatti dagli impegni il consiglio fondamentale è: respira!


Fonte: askanews.it

Frutto tavolo congiunto Famiglie SMA, Centri Clinici NeMO, Simeu e Simeup

Se la gestione dell’atrofia muscolare spinale (SMA) è a volte complessa di per sé, la questione si complica nelle situazioni di emergenza che richiedono l’accesso immediato al Pronto Soccorso. Riconoscere tempestivamente e con efficacia i segnali di rischio diventa allora fondamentale. La SMA, infatti, è una patologia genetica rara che colpisce principalmente i bambini dalla nascita o durante la fase evolutiva facendo perdere nel tempo le capacità motorie. Ecco perché gli operatori, se adeguatamente preparati, possono intervenire e fare la differenza tra la vita e la morte.

In Italia nascono ogni anno circa 40-50 bambini con questa patologia che rende progressivamente difficili gesti quotidiani come sedersi, stare in piedi e, nei casi più gravi, deglutire e respirare. Ed è proprio dalla necessità di saper gestire l’emergenza che l’alleanza delle competenze multidisciplinari di Famiglie SMA, Centri Clinici NeMO, Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza (Simeu) e la Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza Pediatrica (Simeup), con il supporto non condizionante di Roche, ha portato alla stesura del primo vademecum per gestire l’atrofia muscolare in medicina d’emergenza e urgenza. Per la prima volta in Italia, i Pronto Soccorsi potranno riferirsi a raccomandazioni condivise, proprio per creare consapevolezza dei bisogni clinici di chi vive con la patologia e intervenire con una sempre più corretta e puntuale assistenza.

“Riconoscere che una persona con atrofia muscolare spinale abbia bisogno di risposte specifiche e a volte diverse dagli altri pazienti è per noi un traguardo atteso da tempo”, sostiene la Presidente dell’associazione di pazienti Famiglie SMA, Anita Pallara, “è la prima volta che succede in Italia e per una malattia neuromuscolare. È una grandissima vittoria per la nostra comunità ed è solo il primo passo di un percorso prezioso iniziato con Simeu, Simeup e i Centri NeMO. Garantirà un accesso più sereno e sicuro nei Pronto Soccorsi e riuscirà a incidere in modo concreto nella gestione delle emergenze”.

La gestione in emergenza del paziente con SMA non sempre, infatti, coincide con la normale gestione messa in atto per chi non ne è affetto. Negli ultimi anni, inoltre, il quadro clinico si è radicalmente modificato alla luce dei nuovi trattamenti di cura che, per fortuna, stanno cambiando la storia naturale della malattia ma, dall’altra, richiedono un aggiornamento costante sulla presa in carico. Per fare un esempio concreto, se la procedura standard nel caso di una crisi respiratoria è dare ossigeno, per un bambino o un adulto con SMA questo tipo di intervento potrebbe rivelarsi estremamente pericoloso.

Le raccomandazioni sono già disponibili e scaricabili sui portali Simeu e Simeup e saranno a disposizione dei medici di Pronto Soccorso e dei presidi territoriali. La pubblicazione scientifica è consultabile sulla rivista scientifica di SIMEU ITJEM “Italian Journal of Emergency Medicine” a questo link: https://bit.ly/3HY0Yss.

Fonte: askanews.it

Risultati con un grado di precisione vicino al 100%

Una foto alla ‘popò’ sul pannolino e pochi semplici passaggi con lo smartphone per facilitare l’identificazione precoce delle colestasi neonatali, un accumulo di bile nel fegato che può avere effetti molto gravi sulla salute dei bambini. Il nuovo strumento a disposizione dei genitori è la PopòApp, ideata e sviluppata dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con ANIBEC – Associazione Nazionale Italiana Bambini Epatopatici Cronici. L’applicazione, frutto di una ricerca scientifica pubblicata sul “Journal of Medical Screening”, sfrutta algoritmi di intelligenza artificiale e la caratterizzazione colorimetrica delle feci per restituire risultati con un grado di precisione vicino al 100%.

Le colestasi neonatali – spiega l’Ospedale Bambino Gesù – sono disordini caratterizzati dall’accumulo di bile nel fegato come conseguenza della riduzione o dell’arresto del normale flusso biliare verso l’intestino. Le cause di questi disordini sono varie: problemi metabolici, difetti genetici, malformazioni, infezioni, ma nella maggior parte dei casi sono dovute all’atresia biliare (distruzione progressiva delle vie biliari) che rappresenta la principale indicazione al trapianto di fegato in età pediatrica. Le colestasi sono di difficile diagnosi e con una elevata incidenza in epoca neonatale (ne soffre in media 1 neonato su 2.500). I sintomi caratteristici, che in genere si presentano durante le prime 2 settimane di vita del neonato, sono l’ittero, l’urina scura e le feci di colore chiaro (feci ipo-acoliche). Il riconoscimento della ipo-acolia fecale attraverso il test del colore (caratterizzazione colorimetrica) è un metodo di diagnosi precoce delle condizioni di colestasi neonatale patologica.

L’app del Bambino Gesù, sviluppata con un algoritmo di machine learning, facilita l’identificazione precoce di colestasi nelle prime settimane di vita dei bambini mediante il riconoscimento delle feci ipo-acoliche. Il sistema consente ai genitori o ai medici di effettuare una valutazione colorimetrica scattando una foto alla popò sul pannolino. L’algoritmo confronta il colore della foto con la carta colorimetrica, restituendo una prima indicazione. Una volta ricevuto il risultato preliminare, l’app consente di contattare il Centro specializzato per approfondire il test tramite una visita o una televisita del bambino, allegando la foto scattata.

PopòApp è risultato di oltre un anno di studi condotti da clinici e ricercatori delle unità di Chirurgia Epato-bilio-pancreatica e dei Trapianti di fegato-rene e di Epatogastroenterologia e Nutrizione del Bambino Gesù, coordinati dal dott. Marco Spada. I risultati della ricerca su 160 immagini campione hanno evidenziato una precisione dell’app pari al 99,4%, con un valore predittivo positivo del 98,4% e una sensibilità del 100% senza falsi negativi, indipendentemente dal modello di smartphone utilizzato. Lo studio è pubblicato sulla rivista scientifica “Journal of Medical Screening”.

“Considerata la gravità delle sue conseguenze, la colestasi, in particolare se causata dall’atresia delle vie biliari, deve essere riconosciuta nel neonato il prima possibile” afferma il dott. Marco Spada, responsabile di Chirurgia Epato-bilio-pancreatica e dei Trapianti di fegato-rene del Bambino Gesù. “Infatti, se la malattia viene individuata e trattata precocemente da specialisti epatologi e di chirurgia epatobiliopancreatica, quasi il 100% dei neonati può essere efficacemente curato e avere normali prospettive di vita. È questo l’obiettivo dell’app mobile che abbiamo sviluppato, che rappresenta uno strumento preciso ed intuitivo al servizio della salute dei bambini e della ricerca medica”.

“L’applicazione – spiega il prof. Giuseppe Maggiore, responsabile di Epatogastroenterologia e Nutrizione del Bambino Gesù – è uno strumento capace di intercettare alcune condizioni patologiche del neonato che, se diagnosticate con ritardo, possono mettere in serio pericolo la salute dei bambini. Per questo motivo l’uso della app è consigliato a tutti i neo genitori sin dai primi giorni dalla nascita dei piccoli e per i primi 3 mesi di vita”.
PopòApp, scaricabile gratuitamente su tutti i dispositivi mobili, è stata presentata nel corso di un convegno promosso dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù rivolto al personale sanitario che si dedica alla cura del neonato e del lattante, agli operatori dei Centri nascita e delle neonatologie e ai pediatri di libera scelta.

Fonte: askanews.it

Studio condotto da team di ricerca dell’Università di Bari

Uno studio scientifico appena pubblicato sulla rivista “Nutrients” ha condotto alla realizzazione di un questionario disponibile gratuitamente on-line grazie al quale tutti possono valutare se il loro stile di vita è aderente allo stile della Dieta Mediterranea e ricevere consigli mirati su cosa fare per ridurre il proprio rischio cardiovascolare.

Il gruppo di Ricerca del prof. Antonio Moschetta, ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli studi di Bari, nell’ambito degli studi finanziati dal Progetto PNRR “On-foods”, ha elaborato un nuovo score di rischio per analizzare non solo la tipologia e le quantità di cibi assunti ma anche le abitudini relative allo stile di vita, come il momento della giornata in cui vengono consumati i pasti principali, l’attività fisica, l’assunzione di alcolici.

“Si tratta di abitudini – afferma Moschetta – che non erano mai state prese in considerazione dai precedenti questionari che valutavano l’aderenza alla Dieta Mediterranea e che invece hanno un impatto importante nella patogenesi dell’obesità e delle malattie che ne derivano, sul piano cardiovascolare, metabolico e oncologico”.

Lo score (http://www.chronomeddiet.org/) prevede un risultato che va da meno 13 a 25 punti: più è basso il punteggio, minore è l’aderenza alla dieta mediterranea, maggiore sarà il rischio di adiposità addominale.

“Abbiamo previsto punteggi diversi in base alle quantità in cui assumiamo frutta, verdura, carne, pesce, pasta, burro, cereali, carboidrati, alcolici ma anche delle domande relative al momento della giornata in cui li consumiamo e alla frequenza con cui facciamo esercizio fisico. Non possiamo pensare che lo stesso pasto abbia gli stessi effetti su due persone che hanno un consumo energetico diverso o che una stessa quantità di pasta venga metabolizzata e ‘immagazzinata’ allo stesso modo in due momenti diversi della giornata. Infatti, le cattive abitudini a tavola si ripercuotono sull’accumulo di tessuto adiposo viscerale e proprio questo grasso è responsabile di inviare messaggi ormonali a tutto l’organismo e di causare quelle alterazioni responsabili di malattie cardiovascolari. Dunque, conoscere i rischi a cui si va incontro è fondamentale per la propria salute, non solo per ammalarsi meno ma per far funzionare meglio le terapie, per esempio in caso di diabete e ipercolesterolemia. Grazie a questo score sarà sia più facile individuare i pazienti a rischio di obesità ma anche migliorare le abitudini alimentari di chi è già in sovrappeso”, precisa il prof. Moschetta.

Lo studio – informa Uniba – è stato condotto per circa 3 anni fra i pazienti della Clinica Medica Universitaria “C. Frugoni” del Policlinico di Bari (direttore prof. Carlo Sabbà), ed è basato su casi concreti: più di 350 soggetti con età media di 50 anni.

“Siamo molto orgogliosi del fatto che uno studio scientifico, possa trovare applicazione immediata fra tutti coloro che vorranno sottoporsi al test, in maniera peraltro totalmente gratuita e anonima, attraverso il proprio smartphone, tablet o pc. Basteranno pochi minuti e si riceverà una carta d’identità alimentare con consigli mirati per migliorare la propria forma fisica ma soprattutto il proprio profilo di rischio”.

Il primo autore dello studio, il dr. Carlo De Matteis, conclude: “L’alimentazione deve essere sempre più al centro della terapia medica, come primo argine alle malattie e come strumento per vivere meglio. Il nostro score pone l’accento sulla stretta relazione con l’obesità viscerale, la vera pandemia del nostro tempo. Con questo studio abbiamo avviato un percorso che cerca di porre sempre più l’attenzione su quanto la prevenzione parta dalle nostre tavole, con l’obiettivo di una medicina sempre più mirata al singolo individuo e ad intercettare il paziente prima ancora che manifesti sintomi”.

Fonte: askanews.it

La proposta: unicità rapporto Pediatra ospedaliero e del territorio

La “stretta” decisa dal governo sul ricorso ai Pediatri a gettone è giusta e condivisibile, ma occorre trovare una “strategia di uscita” per garantire la sopravvivenza di molti reparti di Pediatria. L’appello arriva dalla Società Italiana di Pediatria, che sottolinea come l’aumento progressivo dell’età media dei Pediatri e del numero di pensionamenti, sia nel territorio che in ospedale, e il numero crescente di pediatri che scelgono di lasciare l’ospedale per dedicarsi al territorio o all’attività privata, stiano mettendo a rischio il funzionamento stesso di molte strutture ospedaliere di Pediatria e di Punti Nascita, nei quali non si riesce più ad assicurare la continuità dell’assistenza. Proprio per tale ragione numerose realtà, per tamponare l’emergenza personale, sinora hanno fatto ricorso ai medici gettonisti, con poco controllo su professionalità e competenza degli operatori ed a discapito della sicurezza delle cure. Un fenomeno certamente da contrastare, prevedendo però adeguate contromisure, senza le quali ben 65 Pediatrie di tutta Italia rischierebbero la paralisi.

Quali le proposte avanzate dalla Società Italiana di Pediatria? “La razionalizzazione delle piccole Strutture Ospedaliere di Pediatria (ormai quasi esclusivamente dedicate ad una attività ambulatoriale di “emergenza”, spesso in condizioni di estrema precarietà assistenziale e strettamente collegate al mantenimento di Punti Nascita substandard) può rappresentare un primo intervento, ma non in grado, da sola, di dare una risposta efficace e duratura. Altro provvedimento utile per tamponare la criticità della situazione può essere rappresentato dal ricorso all’attività aggiuntiva (con remunerazioni orarie sovrapponibili a quelle riservate ai gettonisti) da parte di specialisti dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, superando il limite dell’appartenenza alla stessa Azienda e favorendo una disponibilità su base regionale (ed eventualmente anche extraregionale)”. Nella consapevolezza di come sia però necessaria una strategia di cambiamento di più ampio respiro, la Società Italiana di Pediatria propone che, “almeno fino al superamento della situazione di emergenza, sia modificata la modalità di accesso al mondo del lavoro dei giovani Pediatri e degli specializzandi dell’ultimo biennio del percorso formativo, strutturando un rapporto di lavoro che preveda lo svolgimento dell’attività assistenziale da parte di ciascun professionista sia in Ospedale che sul Territorio. Questa modalità, da considerare obbligatoria per tutti i nuovi Pediatri assunti dal SSN, potrebbe essere estesa, su base opzionale, anche a coloro che già prestano servizio, sia come pediatri ospedalieri che come pediatri di libera scelta. Un modello organizzativo di questo tipo potrebbe ridurre il fenomeno della “fuga” dagli ospedali e, al tempo stesso, consentire una migliore copertura territoriale anche nelle aree geografiche più svantaggiate. Sarà necessario declinare meglio le modalità di strutturazione dei diversi contratti di lavoro e definire gli aspetti economici, ma il superamento del rapporto di esclusività appare il passaggio fondamentale sul quale costruire i nuovi modelli operativi dell’assistenza pediatrica e neonatologica nel nostro Paese”.

“Già oggi, infatti”, conclude la Società Italiana di Pediatria, “non vi sono i medici specialisti in Pediatria necessari per mantenere l’attuale sistema organizzativo, realizzatosi nel nostro Paese a partire dal 1980, che prevede una assistenza pediatrica territoriale distinta e non integrata con quella ospedaliera. Il gap già esistente è destinato ad aumentare nei prossimi 3-4 anni, nonostante la riduzione della natalità e l’aumento del numero dei contratti per le scuole di specializzazione, per il numero elevato di pensionamenti tra i pediatri di famiglia e di dimissioni volontarie tra i pediatri ospedalieri”.

Fonte: askanews.it