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Mendola (CeliachiaFacile): supermercati usano senza glutine come prodotto-civetta

L’adozione da parte della Regione Sicilia della piattaforma Celiachia@RL e dei buoni spesa digitali è senza dubbio un enorme passo avanti – ma non solo per la Grande Distribuzione (GDO), anche i negozi specializzati aspettavano con ansia il nuovo sistema – i vantaggi che invece i celiaci avranno a fare la spesa nei supermercati sono tutti da verificare. “Recentemente – commenta in una nota Michele Mendola, referente regionale per la Sicilia dell’Associazione Italiana Negozi Celiachia (AINC ETS) e founder della community CeliachiaFacile, – su un quotidiano è apparso articolo che invita a preferire i supermercati con il nuovo sistema elettronico, sostenendo che vi sia una maggiore convenienza economica. In realtà, chi frequenta i supermercati sa bene che l’offerta di prodotti senza glutine è molto limitata e la convenienza finale è tutta da verificare”.

L’esperto sottolinea che finora i buoni cartacei hanno limitato fortemente la diffusione dei prodotti senza glutine nei supermercati. “La gestione dei vecchi buoni – spiega Mendola – era molto onerosa dal punto di vista amministrativo, la Grane Distribuzione preferiva non accettarli e vendere solamente quei prodotti che riusciva a trovare sottocosto”.

Con l’arrivo dei buoni digitali, tuttavia, la situazione potrebbe non cambiare: “Il problema di fondo – prosegue – è che i celiaci sono una categoria di consumatori poco appetibile per la GDO: rappresentano appena lo 0,44% della popolazione, in Sicilia ci sono 20mila intolleranti su una popolazione di quasi 4,8 milioni di persone. Per un numero così esiguo di persone, ogni supermercato dovrebbe offrire la variante senza glutine di ogni prodotto: pane, pasta, biscotti, dolci, surgelati, piatti già pronti, prodotti tipici e di stagione”.

I supermercati riescono certamente a offrire dei prezzi più vantaggiosi su quei prodotti gluten-free che rientrano in contratti di fornitura più ampio. “In quel caso potrebbero addirittura essere offerti a prezzi inferiori al costo. Ma questo vuol dire – osserva l’esperto, – che il senza-glutine viene usato come prodotto-civetta: il maxi-sconto serve a attirare il cliente nel supermercato, nella speranza che poi acquisti anche gli altri prodotti a prezzi normali. Sull’intero carrello, la differenza si riduce, quando non si azzera del tutto. Sicuramente, però, il celiaco deve accontentarsi di una gamma di prodotti molto standardizzata”.

Ma oltre alla varietà della scelta, “il vero punto di forza dei negozi specializzati – sottolinea il divulgatore, – è rappresentato dalla varietà della scelta, nella qualità selezionata e nella capacità del negoziante di indirizzare correttamente il cliente, servizi che la grande distribuzione non è in grado di offrire. Chi cerca qualità, attenzione e una scelta ampia e diversificata continuerà a preferire i piccoli negozi specializzati che rappresentano da sempre un punto di riferimento imprescindibile per il mondo senza glutine”. Nella maggior parte dei casi, chi apre un negozio di prodotti senza glutine è egli stesso intollerante, o ha un familiare celiaco . “Questa motivazione personale – osserva ancora Mendola, – si traduce in un servizio che va ben oltre la semplice vendita: il negoziante chiama ogni cliente per nome, conosce le sue preferenze, consiglia nuovi prodotti adatti alle esigenze specifiche, e tiene traccia delle prenotazioni personali, preparando anche anticipatamente la spesa per chi è di fretta”. I negozi specializzati inoltre diventano così luoghi di aggregazione e confronto, vere e proprie community dove i celiaci possono scambiare opinioni, ricette, consigli pratici. “I negozianti o le farmacie con reparti dedicati organizzano eventi anche informativi sulla celiachia, incontri con specialisti e degustazioni per presentare ai clienti nuovi prodotti e sensibilizzare la comunità locale” conclude il fondatore di CeliachiaFacile.

Fonte: askanews.it

Indagine di Unobravo rivela l’aumento di stress vissuto dai genitori nella fase pre-ferie

Con la fine della scuola e l’inizio dell’estate, per molte famiglie italiane inizia un periodo di fatica emotiva e gestionale. Unobravo, servizio di psicologia online e Società Benefit ha condotto una survey interna tra i suoi terapeuti per indagare il fenomeno della “Family Fatigue”, ovvero lo stress vissuto dai genitori nei mesi estivi in cui devono affrontare un nuovo equilibrio tra figli a casa e lavoro ancora in corso.

Secondo i risultati della survey, informa una nota, più della metà dei terapeuti Unobravo riferisce che i genitori riportano spesso o molto spesso un aumento dello stress durante il periodo estivo (68%). Si tratta di un momento di transizione spesso sottovalutato, in cui la gestione quotidiana cambia improvvisamente ritmo, ma gli impegni lavorativi restano invariati. Ovviamente lo stress estivo non colpisce tutti allo stesso modo, e infatti dalla survey emerge che a essere particolarmente esposti sono i genitori lavoratori privi di supporti esterni (62%), seguiti dalle coppie con figli da 0 a 5 anni (40%) e da chi ha bambini con bisogni speciali (30%).

Analizzando poi queste categorie da un punto di vista di genere, i professionisti clinici interpellati indicano che a soffrire maggiormente sono soprattutto le donne (85%), che continuano a farsi carico in misura maggiore della gestione familiare. Guardando ai fattori di stress estivo più frequentemente riportati dai genitori durante il percorso psicologico, troviamo al primo posto la difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia (73%). Seguono i costi elevati per centri estivi o babysitter (67%) e, ancora, l’assenza di supporto da parte di familiari o di una rete sociale di riferimento (40%).

Questo carico mentale si traduce in un impatto emotivo concreto: i terapeuti di Unobravo riferiscono che gli stati d’animo più frequentemente riportati dai genitori durante l’estate sono stanchezza mentale (75%), frustrazione (56%) e irritabilità (53%). Parallelamente, il 72% degli specialisti osserva un aumento della preoccupazione riguardo al tempo che i figli trascorrono online: per alcuni terapeuti questa crescita è molto significativa, per altri leggermente maggiore rispetto ad altri periodi dell’anno, spesso perché il tempo online rappresenta l’unica forma di intrattenimento in assenza di alternative strutturate.

In risposta a queste difficoltà, dalla survey emergono anche alcune strategie che i genitori ritengono utili per gestire meglio lo stress estivo. Tra le più efficaci, l’iscrizione dei figli ai centri estivi (62%) si conferma una soluzione importante, così come il coinvolgimento attivo del partner o della rete familiare (57%), che permette di suddividere i carichi di cura e supporto.

Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo, commenta: “Quello che emerge con chiarezza da questa indagine è che il carico mentale continua a gravare in misura maggiore sulle donne, che spesso si trovano ad affrontare da sole l’organizzazione familiare, soprattutto nei periodi in cui i punti di riferimento, come la scuola e la rete di supporto parentale e/o amicale, vengono meno. Ma è importante ricordare che la ‘fatigue’ estiva non riguarda solo le madri: anche chi non ha figli vive spesso un senso di sovraccarico emotivo e pratico legato a responsabilità lavorative, sociali o legate alla famiglia d’origine, che aumentano proprio nei mesi in cui ci si aspetterebbe una pausa. Riconoscere la propria fatica è il primo passo per prendersene cura con maggiore consapevolezza”.

Per il 71% dei terapeuti Unobravo, il periodo estivo rappresenta quindi un momento difficile per il benessere psicologico dei genitori. Sorprende però come questo disagio non si traduca in un aumento significativo delle richieste di supporto psicologico: il 44% degli specialisti rileva infatti una domanda sostanzialmente stabile nel corso dell’anno.

Questi dati evidenziano quanto sia fondamentale riconoscere e affrontare le difficoltà legate alla gestione dello stress in un periodo in cui prendersi cura della propria salute mentale può sembrare un ulteriore impegno in una quotidianità già complessa. Diventa quindi essenziale promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza del benessere psicologico e garantire l’accesso a strumenti di supporto flessibili e facilmente fruibili, capaci di accompagnare le famiglie in quei momenti in cui il riposo può sembrare un lusso lontano.

Fonte: askanews.it

Ricerca clinica apre prospettive al supporto nutrizionale nella patologia reumatica

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica sistemica che colpisce milioni di persone nel mondo, provocando dolore, rigidità articolare e un generale peggioramento della qualità della vita. Ma a essere compromesso, spesso in modo meno visibile, è anche lo stato nutrizionale del paziente: affaticamento, perdita di appetito e difficoltà nella preparazione dei pasti contribuiscono a deficit energetici e carenze di fibre, elementi chiave per il mantenimento di un buon stato di salute.

La dieta, informa una nota, gioca un ruolo cruciale nella gestione della AR. Lo stato nutrizionale dei pazienti affetti da AR è compromesso dall’infiammazione cronica e da altri fattori associati alla malattia, richiedendo quindi una gestione dietetica mirata, che non può essere efficacemente ottenuta solo attraverso alimenti convenzionali.

In questo contesto si inserisce lo studio MIKARA, pubblicato su Nutrients nel 2023, che ha esplorato gli effetti di una combinazione nutrizionale a base di trigliceridi a media catena (MCT) e fibre solubili e insolubili in pazienti con AR. Il trial, della durata di 16 settimane e condotto in doppio cieco con gruppo placebo, ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa dell’attività della malattia, misurata attraverso l’indice SDAI (Simplified Disease Activity Index). In particolare, è emersa una correlazione tra l’assunzione di Mikara Shake e l’aumento dei livelli ematici di beta-idrossibutirrato (BHB), corpo chetonico prodotto durante la chetogenesi. Questo processo permetterebbe di soddisfare eventuali carenze energetiche legate all’AR, dal momento che i corpi chetonici rappresentano una fonte di energia rapidamente disponibile. Inoltre, il BHB è noto per le sue proprietà antinfiammatorie, che giustificherebbero in parte i benefici osservati durante il trial. Le fibre, derivate da fonti naturali come bambù e psillio, si sono rese particolarmente utili per il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di fibre suggerito dalle linee guida europee e prevenendo dunque le possibili carenze che spesso caratterizzano questi pazienti.

“I pazienti con artrite reumatoide affrontano ogni giorno difficoltà che vanno oltre i sintomi articolari: l’affaticamento, la perdita di appetito e le limitazioni fisiche rendono complesso mantenere un’alimentazione adeguata, aggravando condizioni già compromesse dal punto di vista metabolico” – spiega la Prof.ssa Francesca Ingegnoli, Reumatologa dell’ASST Gaetano Pini CTO di Milano e Docente di Reumatologia all’Università degli Studi di Milano – “Lo studio MIKARA suggerisce che un supporto nutrizionale mirato, basato su MCT e fibre, può rappresentare un complemento utile alla terapia farmacologica, contribuendo in modo integrato a migliorare il quadro clinico generale”.

La formulazione testata nella ricerca, Mikara Shake – sviluppata da Dr. Schär – è stata selezionata per la sua composizione avanzata, e rappresenta un esempio virtuoso di come l’innovazione nutrizionale possa entrare a far parte di un modello di cura che comprende anche l’aspetto nutrizionale. In un’ottica di medicina sempre più personalizzata e multidimensionale, l’intervento nutrizionale emerge come strumento concreto e sicuro per affiancare la terapia convenzionale, promuovendo una maggiore aderenza alle cure e contribuendo al miglioramento complessivo della qualità della vita

Oltre agli esiti clinici, lo studio MIKARA evidenzia il valore di un intervento che agisce anche sul piano della quotidianità del paziente. L’introduzione di una formulazione nutrizionale semplice da assumere, non invasiva e facilmente integrabile nella routine alimentare si traduce in una maggiore autonomia, in una riduzione dello stress legato alla gestione del pasto e in un miglior equilibrio psicofisico. Si tratta di benefici spesso trascurati nella valutazione dei trattamenti, ma fondamentali per rafforzare la motivazione, migliorare l’aderenza alla terapia e sostenere il benessere complessivo della persona nel lungo termine. In questo senso la nutrizione si configura come supporto aggiuntivo per chi convive con una malattia cronica.

Fonte: askanews.it